Il camoscio è un ungulato diffuso soprattutto nella zona delle Alpi. Fa parte della sottofamiglia dei Caprini, come suggerisce il suo aspetto.
Olfatto finissimo, vista e udito molto acuti, le sue origini sono antichissime; pare infatti che il primo fossile risalga a 250/150 mila anni fa.
Cambia colore e texture in autunno, quando è più bruno, lungo e folto, ed in primavera, quando è corto, ruvido e di color marrone chiaro con sfumature giallastre, grigie e rosse.

A differenza dei cervidi, i camosci hanno corna permanenti. Il camoscio alpino predilige quote comprese tra i 1.000 e i 2.800 metri. Pertanto, il suo habitat naturale è composto da pendii rocciosi e scoscesi, punteggiati da boschi di conifere e latifoglie, praterie alpine e pascoli.
In primavera, nel periodo del parto, le femmine gravide tendono a muoversi verso pendii poco accessibili e pareti a strapiombo.

Maschi e femmine vivono geograficamente separati, e la tendenza aumenta con il passare dell’età. Fino al momento in cui si avvicina il periodo degli accoppiamenti.
Le femmine vivono a quote più elevate rispetto ai maschi ma in autunno, questi si avvicinano ai branchi delle femmine, scese a quote più basse. La gestazione dura tra i 160 ed i 170 giorni, tra metà maggio e metà giugno. In generale, la femmina dà alla luce un solo cucciolo.

Il camoscio si sposta sulla neve con facilità, grazie alla particolare conformazione dello zoccolo, che aderisce anche al ghiaccio. Ha inoltre un cuore più grande rispetto alla sua corporatura, che gli permette di resistere a grandi sforzi, come le camminate lunghe e veloci sui dirupi. Il cuore è dotato infatti di spesse pareti muscolari che garantiscono il mantenimento di una frequenza cardiaca di duecento battiti al minuto ed un’elevata portata sanguigna.


Il toponimo camoscio deriva del gallico camox, e probabilmente mutuato da una lingua alpina, è anche la radice del termine olandese.